giovedì 1 dicembre 2011

Altre storie di lacrime e sangue

In questi giorni di tumulto politico ed economico non si fa in tempo a prelevare dal bancomat che già un freddo, insistente, appuntito morso prende alla giugulare. In lontananza, nella mente, l’effetto doppler dei sempreverdi Ford Falcon argentini in avvicinamento.
L’arrivo di Mario Monti, un nome credibile per i mercati e che di liberismo sfrenato se ne intende, ha frenato parzialmente la speculazione sul fondo sovrano italiano: avrà fatto un paio di telefonate ai suoi amici dall’ufficio di Goldman Sachs ed ecco fatto, lo spread prende fiato e noi, finalmente, possiamo godere in santa pace della scena di sesso estremo tra la sottomessa Repubblica Italiana e la Lady Domino Trilaterale. Popcorn e occhialini per il 3-D inclusi.

Questa mossa di salvataggio si è rivelata in gran parte un abbaglio, un po’ come i televisori a virgola 99 centesimi di euro dei supermercati: non sai perché, ma hai l’impressione che risparmiare quel centesimo un giorno ti renderà ricco. Come se una donna in preda al lancinante dolore delle mestruazioni si tuffasse nella vasca degli squali bianchi dell’acquario di Genova. Un po’ di carne al sugo è ottima, come pranzo della domenica per gli squali della BCE.

Restando nel tema emofilia ho scoperto che, nonostante guardino per ore la televisione, alcuni dei miei alunni non hanno un programma televisivo preferito, ma si appassionano al cinema e in particolare delle storie di vampiri della saga Twilight. Sono sempre stato convinto che il romanzo horror gotico, abbia rappresentato maggiormente lo spirito dei tempi rispetto a certa letteratura aulica: leggo il Dracula di Bram Stoker come critica al sistema di produzione capitalistico che vampirizza la vergine classe operaia fino a renderla sua concubina e complice. Quindi, con la curiosità tremante di una verginella che si addentra nella foresta oscura del pop vampirismo e armato della testa d’aglio della mia irrazionalità, ricerco un motivo che spieghi la popolarità tra i teenagers di Twilight e soprattutto del suo ultimo episodio: Breaking dawn. Mai però avrei pensato, nemmeno nei miei più tormentati sonni di complottista, di vedere dei vampiri acclamati vox populi come salvatori dell’economia italica.

La storia ha tre protagonisti principali: Bella, la teenager non ancora vampira; Edward, il suo futuro sposo vampiro; Jacob, licantropo e nemesi di Edward. Jacob, in quest’ultimo episodio, si oppone al matrimonio tra il vampiro e la ragazza, ma scopre che Bella è incinta della sanguisuga.
La gravidanza di Bella ha però un ritmo molto accelerato rispetto ad una normale gravidanza umana: il feto cresce vertiginosamente, come lo spread dei bond italiani, assorbendo le energie della madre e rendendola sempre più debole. Perché rimanga in vita, Bella viene alimentata con sangue umano, molto probabilmente spillato dalle fasce del 99% della popolazione italiana. Al momento del parto,riesce con l'aiuto di Edward (la Banca centrale europea) e Jacob (il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano) a dare alla luce una splendida bambina: la neovampira si salva infine grazie ad Edward che le inietta il veleno dell’immortalità dei senza ombra (il governo Monti) direttamente nel cuore. La bambina non è un’immortale, fortunatamente.
Venite copiosi, squali e vampiri, che in Italia scorrono ottime lacrime di sangue.

lunedì 3 ottobre 2011

Corso di Accattonaggio e Abitazione Diffusa. Pronti al peggio SBF.


Siete in panico per il crescente ed impagabile debito pubblico italiano? Vedete il vostro potere d’acquisto azzerarsi grazie all’aumento selvaggio dell’Iva? La patonza gira ma solo alla larga da voi? Volete guadagnare poco ed essere felici a distanza dalla gente? Pensate che l’Inps per voi sarà l’Istituto Nazionale Precariato Suicida? Goldman Sachs, sucks, ma non troppo? Avete una monetina, che “sono una famiglia povera”?

Se la risposta a tutte queste questioni è “Si”, allora iscrivetevi al
 Corso di Accattonaggio e Abitazione Diffusa
CAAD
Pronti al Peggio- Scuola di Bassa Formazione.

E’ il momento di reagire! Non cercate speranza nella schiavitù di un lavoro che non vi permette di costruire nulla per il futuro; non crucciatevi poiché dei culi flaccidi da decenni scaldano la sedia in uffici pubblici dorati sulle spalle della collettività e che continuano a sputarvi, ridacchiando, negli occhi; ma soprattutto non spendete i vostri soldi in maniera inefficace: diventate accattoni professionisti con il CAAD.
12 mesi pieni di progressiva armonizzazione di senso artistico e creatività con abilità gestionali e un fondato senso dell’impresa di strada. Docenti, testimoni, istituzioni partner preparano i futuri accattoni a:

  •          sviluppare imprenditorialità mirate al furto, sia in condizione ‘affollata’ che  ‘deserta’
  •          presidiare e consolidare la propria abitazione, renderla leggera e trasportabile
  •          cogliere nuove esigenze e trend rilevanti in ambito artistico-culturale per essere sempre aggiornati sui luoghi dove chiedere l’elemosina e al contempo rinfrancare lo spirito
  •          valorizzare il settore del recupero rifiuti nelle sue possibili funzioni, applicazioni ed evoluzioni

CAAD si propone di fornirvi tutti i mezzi necessari per essere pronti nel momento in cui il vostro (e di svariati milioni di italiani) conto corrente sarà utilizzato come l’acqua marina per raffreddare il nucleo nella Fukushima del debito pubblico italianoin nome di quella austerity che i giovani già da anni mandano giù a cicchetti di vodka gelata.
Acquisirete le competenze di base per essere degli accattoni coscienti: come non lavarsi la mattina, decorare le vostre magliette con degli stencil di patacche e sudore nelle situazioni d’emergenza, riconoscere i vari modelli di scatole per preparare con cura il vostro giaciglio diffuso, pur sempre confortevole.

Dopo una prima fase introduttiva sulle tecniche più efficaci per essere un perfetto storpio, cieco e “sono una famiglia povera”, si passerà alla fase del “learn and do”: i nostri tutor saranno ad aspettarvi in strada per supportare il vostro percorso attraverso le macerie della bancarotta. Imparerete la fine arte di essere sgrammaticati in maniera naturale e allo stesso modo riprenderete in mano il vostro tempo, in maniera naturale.
Il corso è indirizzato a tutti coloro che non sono signori diGoldman Sachs, non hanno santi in paradiso né fanti in terra, sono atterriti dall’idea di dover spegnere la Playstation e scendere in strada per indignarsi.
Elemosina il tuo futuro, dona una monetina a Pronti al Peggio- Scuola di Bassa Formazione.


giovedì 9 giugno 2011

Al referendum ci vado impennando con il mio Si

Tenete presente che è un motorino che quasi rientra tra gli storici. Ci ho fatto le migliori traversate del Salento. E’ abituato bene, aria pura e mare aperto. Sarebbe veramente un peccato guidarlo vicino ad una centrale nucleare. Più che altro, perderebbe vigore, diventerebbe ossidato e malaticcio, non proprio il ritratto della salute che è ora. Nei giorni in cui splende il sole è caldo e quasi sciolto liquido, mentre quando soffia tramontana diventa gelido e secco crepato.

Stupendo il mio Si: se lo vendessero, lo comprerei. Ha un corpo azzurro e i parafanghi sono davanti verde e dietro arancione. Ci ho fatto un sacco di impennate. Qualche volta ho fatto venire il batticuore a qualche ragazza, impennando.

E’ alquanto rumoroso, con la sua marmitta “a scurreggetta” che disturba la pubblica quiete compiendo perfettamente il suo dovere: rompere il sonno di quelli assonnati e ciondolanti davanti alle televisioni. Quando giro per le strade, infatti, la gente si affaccia alle finestre per il rumore che crea. Alcuni ridono, altri invece scendono in piazza increduli, a testimoniare questo ronzio frastornante e chiedere se il motore vada a miscela o a fagioli.

La cosa bella del Si è che ci puoi attaccare gli adesivi che vuoi. Tra i citabili e degni di nota, sicuramente il “papero che fa “tiè” merita il terzo posto, quello subito sotto il sellino. Non sia mai qualcuno pensi di spostarlo: ama sguazzare nell’acqua e bagnarsi quando piove. Non vuole pagare per investitori che poco se ne fregano se per lui la pozza dove sguazza sia un bene primario o meno: lui senza acqua pubblica non riesce a stare. Inoltre, il sellino è quello lungo, comodo per portare qualcun altro in giro, a passeggio verso un seggio.

Al secondo posto, arroccato saldamente sul carter, l’adesivo “INCUBO!” con il punk incenerito da un’esplosione atomica. Inutile fare della facile ironia: siete tutti ancora così scossi dallo tsunami in Giappone per poter apprezzare il calore dell’uranio, il croccante condimento verde fluorescente per le vostre insalate e peperoni, il latte a lunghissima conservazione (si parla di oltre diecimila anni senza che si cagli) che berranno i vostri figli e l’erba pipa che mangeranno le vostre mucche: d’altronde, in Italia di terra ne abbiamo una penisola e un tacco. Anch’io sono talmente scosso che entrando al supermercato ho chiesto una barretta d’uranio, invece di una barretta Kinder. Il commesso mi ha detto che le può vendere solo sottobanco, prima di spedirle in Nigeria con una bolla per rifiuti clandestini.

Al primo posto inamovibile come il dito medio che rappresenta, appunto, “Il dito medio” vessillo di tutti i parafanghi dei Si di tutta Italia, almeno nei peggiori bar e ricevitorie. Un saluto cordiale a tutti, come un biglietto da visita poco raffinato ma democratico che non risparmia nessuno. Più giusto dell’umana giustizia.

“Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali di altri”, secondo la dote di sintesi del maiale Napoleòn ne La Fattoria degli Animali, mentre ingordamente banchetta con i suoi sodali maiali in attesa delle danze del bunga bunga. Un bel dito medio sul parafango è proprio quello che ci vuole per ricordare a tutti i maiali che sono uguali agli altri animali, solo più versatili.

Poi, se vorrete, il Si vi porterà fino alla marina più vicina, possibilmente col vostro partner. Ma ricordate sempre, tenetelo sempre a mente: prima il dovere, poi le impennate.



sabato 28 maggio 2011

Se il Male si impossessa della campagna elettorale.

La neve qui a Milano si scioglie in questa campagna elettorale ma l’apparizione delle feci, sonnecchianti sotto il manto bianco, è avvenuta ben prima. Strano evento in controtendenza rispetto all’arcinota aria d’attesa che caratterizza l’apparizione del defecato.

Sono avvenuti diversi episodi, in preparazione sia del primo turno che dell’imminente ballottaggio, che mi hanno fatto pensare alla storia del tizio che in macchina imbocca l’autostrada in senso inverso, e sente alla radio che un pazzo guida a folle velocità contromano, per l’appunto, in autostrada. Un pazzo soltanto? Qui sono tutti usciti fuori di cervello!

Ho avuto l’impressione che l’ufficio comunicazione del centrodestra abbia chiesto consulenze alla sottile mente di Renzo Bossi con la complicità al botox della Santanchè, tanto che la condotta di candidati e sostenitori del Pdl e della Lega ricordava tanto quella del tipo ubriaco che, in mezzo ad un concerto affollato, tenta di farsi largo tra la gente ma che ai primi tre passi in barcollio molla il suo vomito sotto l’ascella sudata di un braccio ritto al cielo, festante.

I manifesti apparsi in città, inneggianti a Letizia ed infamanti nei confronti della “Sinistra” sono davvero incredibili. Può averli creati solo uno che ritiene gli elettori capaci di credere agli asini volanti e al diritto di volare basso sulle corsie preferenziali dei grandi viali cittadini. Erano veramente convinti di vincere, anche Grillo lo aveva detto: Pisapia è uguale alla Moratti, sono tutti morti e prima di spirare si sono spartiti le città: Torino e Bologna a te, Milano e Napoli a me, diceva degli altri. Grillo in cattiva fede, più catastrofista di un calendario Maya/Michelin. Lui si dice diverso, ma a me ricorda tanto Mister B. del ’94, quanto meno nella retorica.

Lei, l’amata Letizia si gongolava già con l’Ecopass in poppa, spinta dalle infauste previsioni grillesche, rilassata nella bat-caverna del figlio, incurante sia delle mancanze di 5 anni di amministrazione che degli abusi dei suoi. Persino il suo parrucchiere, finendo tutta la lacca in magazzino ha imprecato: “Se la lacca è finita ed il buco dell’ozono comincia a restringersi al Polo Sud, è tutta colpa di Pisapia”.

Appunto. Qui il centrodestra di lotta e di governo ha offerto il fianco ad una satira politica di origine popolare che gli ha inferto fustigate degne di un centurione romano prima della crocifissione del malcapitato. Se Grillo si fa politico, qualcuno dovrà fare il comico: il popolo della rete, a Milano, si trasforma in saltimbanco 2.0 e dileggia i potenti.

Non solo. Anche il sud Italia ha dato sostegno linguistico a queste vergate senza vergogna: #Sucate non è di certo un lemma nordico, quanto più un concetto universale che dall’Italia subpadana si spande nell’aria come una botta di PM10. Non si vedevano toni così sprezzanti a sinistra dai tempi de Il Male: “La città di Sucate” è una provocazione, un dileggio della stupidaggine pari a “Tognazzi capo delle BR” di Zac e soci o alla notizia “Moro è vivo!” sparata in prima pagina dalla banda Frigidaire su (falso) Il Lunedì della Repubblica.

‘Caught with the pants down’ direbbero gli inglesi, in segno d’irrisione di qualcuno colto in flagrante. In questo caso, anche le mutande erano sgommate di vergogna.

Ora bisogna tenere alta la guardia con la stessa veemenza dei pornostar, per far sì che questo esplosione di ironia e satira contro il potere non si sciolga come neve al sole, ma sia solida e viva come il prato che fagociterà lo sterco su di esso.

martedì 24 maggio 2011

Fritto misto catodico in salsa precaria

Sono rimasto talmente sconcertato dal nuovo programma di Vittorio Sgarbi in tv che potrei anche iniziare a dare per vera la notizia della morte di Osama Bin Laden. Sgomento anche Giuliano Ferrara: non avrebbe mai pensato ci fosse qualcuno capace di scendere sotto i minimi storici raggiunti dallo share durante Qui Radio Londra.

Distrutto, lo share ha infine deciso di visitare Zurigo dopo la legge sul suicidio assistito approvata dal cantone svizzero.

Negli ultimi mesi, la televisione digitale terrestre ci ha dato diverse prelibatezze con cui solleticare le nostre papille gustative e frantumarne altre, di papille.

Ho apprezzato talmente tanto Antonella Clerici sul palco dell’Ariston a Sanremo, mentre soffriggeva quella povera anima di sua figlia e la adagiava su un palco di rucola con spruzzata di riflettori finale, che alla fine ho dovuto bere un mix digestivo di Viakal e Idraulico Liquido per non vomitare. Inutile.

Antonellina Clerici, sorridente nonna Pina a pranzo, a cena famelica nonna di Cappuccetto Rosso con “che denti grandi che hai”, Antonellina. Più insidiosa di un don Seppia qualsiasi.

Non mi meraviglierei se in futuro la piccola Clerici dovesse sviluppare dei disturbi specifici dell’apprendimento, dopo i suoi occhi sbarrati in prima serata, spaventata e traumatizzata da un mondo in cui la madre non ha avuto paura di infornarla, salvo poi dispiacersi della cosa. Una volta bruciata, cara Antonellina, tutta la crema del mondo non potrà sanare la ferita di aver sfruttato l’immagine di una bambina, tua figlia, per la tua bella faccia da bambola gonfiata a bomboloni. Guarda com’è cresciuta smorfiosa la figlia di Fiona May a furia di vivere in una casa tutta bianca e mangiare merendine con una goccia di miele.

Lo spettro di un altro chef si aggira per il digitale terrestre. Questo highlander della padella è biondo come la spuma ed irritante come lo spray al peperoncino. Il suo nome è Gordon Ramsay ed è il dittatore più glamour dei fornelli. I suoi format sono dappertutto, non si contano più, con una frequenza più alta di quella dei kebabbari di Milano e con un’incidenza sulle mode gastronomiche pari a quella del sushi-cinese-pizza (ne esistono un sacco sotto la Madunneddra).

Non è la spasmodica ricerca della perfezione del sapore che gli si può contestare, d’altronde ogni lavoratore dà quotidianamente il proprio meglio, nonostante giornate dure in cui essere precari davanti ai fornelli può essere una tortura peggiore che cucinare aglio olio e peperoncino per i critici di Slow Food.

Non è neanche il suo continuo imprecare con F-words contro il suo staff di cuochi mediocri che perdono il controllo delle proprie creazioni, come la strega di Hansel e Gretel, cadendo rovinosi dentro il calderone dello spettacolo spinti dal biondo Ramsay: imprecare, secondo ultime ricerche, produce endorfina utile a far passare il dolore.

Ciò che mi fa saltare come una goccia d’olio che zampilla dalla friggitrice e prende fuoco è il modello culturale che il format Hell’s Kitchen propone: due squadre di cuochi che, si battagliano fino all’ultima guarnizione per essere i migliori spadellatori dell’etere. Fin qui tutto ok. Il raccapriccio sorge, come davanti alla scoperta di un capello nel piatto, quando ciascun gruppo deve votare la coppia più scarsa al proprio interno, e tra questi quattro sfigati uno viene scelto da Gordon l’ingordo per essere eliminato dal menù.

Pietrificato da tanta disumana realtà, con il diavolo in corpo e senza coperchi, ho iniziato a sostenere Pisapia a sindaco di Milano.

Un programma televisivo è specchio dei tempi da una parte e sedimento di un’idea malsana del lavoro dall’altra. E’ odioso dover fare lo spione chiamato dal capo infamando un proprio collega: sa di tappo, puzza come il formaggio di fossa. Cerca, a mio avviso, di rendere istituzionale un modello, quello del capo-chef autoritario incurante degli sforzi e dei sentimenti degli ultimi, i quali rischiano d’essere espulsi sia per mancanze proprie che per la bassezza delle regole del gioco.

Il mio pensiero va a tutti quei lavoratori della ristorazione che si apprestano a fare stragi di gamberoni e pescato e pulizia etnica di maiali e cavalli nel tacco d’Italia. Difficile e stressante è lavorare per tre mesi a ritmo forsennato davanti a fuochi e padelle e piatti e guarnizioni, tanto che alla fine della stagione sembrano tutti degli Hulk sotto dieta ferrea, inverditi e ammorbati dall’ambiente bollente. Tenere duro è difficile quando sei lavapiatti e immigrato, aiuto-chef o cameriere stagionale, mentre i tuoi clienti abbronzati ti rimandano indietro un piatto per non meglio precisati motivi, se non la voglia di fare i fichi raffinati al tavolo.

Resistete e continuate a darci del cibo: per voi, l’Inferno è piastrellato di bianco da sgrassare a fine turno.



lunedì 9 maggio 2011

Salento: sole, mare, isolamento

Sono un po’ di mesi che si parla di Regione Salento indipendente da Bari ladrona causa di tutti i mali economici dell’antico tacco italico sorretto dal tendine di Brindisi e il tallone di Taranto restare incollati all’Italia e all’Europa.
In un periodo in cui l’indice di gradimento politico si misura sui pollici dei tacchi a spillo di “ministre-calendario” è giusto che tutta la categoria veda riconosciuto il proprio status e abbia i propri privilegi garantiti.
Qual è il vero scopo di questa regione Salento? L’unica risposta plausibile mi sembra sia di creare una nuova burocrazia locale in mano a nuovi (o vecchi) triumvirati, finalmente liberi dal tiranno barese e i compagni dauni, loro si pugliesi a tutti gli effetti.
Con tutta la sincerità dell’inquisizione spagnola, se vogliamo scacciare via la sottomissione ed essere finalmente una zona autonoma permanente dobbiamo in primo luogo liberarci del tiranno senza diventare tiranno noi stessi.
Semplice a dirsi, molto di più a farsi. Pensate se le banche di Lecce, Brindisi e Taranto si unissero in un solo cartello e formassero, aiutati dalla politica, non una regione ma un paradiso fiscale: lussuosi hotel con piscina, casinò, sale da ballo, spiagge esclusive con concessione millenaria e via discorrendo.
Il Salento diventerebbe un paradiso, una lavatrice di denaro lordo ma con un sorriso pronto a chiudersi sulla cannuccia di un mojito in riva al mare senza più precarietà né tanto meno disoccupazione a corrucciarci l’abbronzatura.